Non ci sono più le stagioni di una volta.
Così si dice.
Eppure io sono consapevole del cambiamento in atto.
Lo sento nell’aria…maledetti pollini.
Me ne accorgo al mattino quando mi sveglio…più stanca di quando sono andata a letto.
Maledetta vecchiaia.
Una volta, quando ero giovane la primavera era un tripudio di ormoni e serotonina a palla.
Ora è un insieme di starnuti, acciacchi vari e gastrite di stagione.
Ma comunque la primavera rimane sempre la mia stagione preferita.
E’ un risveglio dell’anima.
Me ne accorgo al mattino presto quando io e Denver usciamo per la passeggiata.
Non puoi certo portare un cane corso a fare i bisogni all’angolo come puoi fare con un pincher.
Denver vuole sgroppare, preferibilmente di prima mattina quando hai appena preso il caffè.
D’orzo per di più,visto che la caffeina normale ahimè non la tollero.
Immaginate quindi con che faccia sveglia mi aggiro all’alba per le strade.
Ma quando arrivo al fiume è tutta un’ altra storia.
L’erba è tornata ad essere verde e le margherite ne ricoprono buona parte.
Giorno per giorno fanno capolino nuovi fiori e io mi rendo conto di conoscerne pochissimi.
Mai stata una da fiori…eppure in questi giorni mi vedo tornare a casa con tulipani selvatici raccolti nel campo e pasqualotti colorati che mi inebriano con il loro profumo.
Quanto vorrei conoscere al meglio le piante che mi circondano durante la nostra passeggiata mattutina.
Già mi vedo a raccoglier fiori di borragine e ortica e tornata a casa preparaci dei succulenti piatti come faceva nonna.
Il nonno era il vero conoscitore di piante ed erbe e le utilizzava anche per i medicamenti naturali.
Vorrei averlo conosciuto di più ed averlo ascoltato più a lungo quando mi spiegava quali erbe raccogliere e quali invece no.
Ma ero solo un bimbetta.
Bionda e lentigginosa che cercava sempre un buon motivo per andare in giro per i campi.
Poi crescendo avrei voluto essere una di città, tutta nebbia e cemento.
Ho sviluppato tardi il legame con la terra, la mia terra.
Ma ora più che mai sento il bisogno di coltivarla e di cibarmi delle sue primizie.
Un ritorno alle origini, quando c’erano ancora le mezze stagioni.
Quando si potevano mangiare anche le fragole ed io ero solo una bimbetta bionda e lentigginosa.
- 500 gr di ricotta di mucca
- 1 cespo di cavolo nero
- 250 gr di farina 1
- 1 uovo d'oca
- 50 gr di parmigiano
- 25 gr di burro salato
- olio evo
- salvia
- pepe
- sale
- Mettete a scolare la ricotta.
- Preparate la sfoglia formando una fontana con la farina e rompendo l'uovo al centro.
- Unite la farina poco alla volta e iniziate ad impastare unendo, se serve, un cucchiaio di acqua per dare elasticità.
- Continuate ad impastare finché otterrete un impasto liscio e sodo.
- Formate una pagnotta e coprite con un canovaccio umido e lasciate riposare.
- Mondate e lavate il cavolo nero e sbollentatelo in una padella.
- Salate e fate cuocere una decina di minuti.
- Se asciuga troppo unite un poco di acqua.
- Scolate bene e tritate finemente il cavolo nero.
- Unitelo alla ricotta e al parmigiano e mescolate bene.
- Stendete la sfoglia sottile.
- Con l'aiuto di due cucchiaini formate delle sfere con l'impasto di cavolo e formaggio e adagiatele sulla sfoglia distanziate tra loro.
- Ricoprite con la metà della sfoglia libera e ritagliateli con uno stampo per ravioli.
- Mettete a bollire abbondante acqua salata e unite un filo d'olio così la pasta non si attaccherà.
- Versate i ravioli e fate cuocere per 2 minuti circa.
- Scolateli e saltateli insieme al burro salato e alle foglioline di salvia.
- Spolverate con il pepe e il parmigiano.