Il Pane e Affini, Senza categoria

STORIA DI UNA FOTOGRAFIA

12 Gennaio 2015
Ho una fotografia sulla mensola della camera.
Ritrae una giovane me,infagottata in un giubbottino rosso e blu. La bocca socchiusa in un sorriso,gli occhi azzurri ridenti.
Hanno lo stesso colore del berretto celeste che ho ben calcato in testa e annodato sotto il mento.
Sullo sfondo il mare e dune di sabbia.
Io me l’immagino come una domenica invernale,il cielo azzurro e l’aria tersa. 
Posso quasi sentire l’odore salino del mare.
Mi è sempre piaciuta questa foto,ho le guanciotte paffute e arrossate per il freddo e la frangettina bionda,piena di scalini che fa capolino dal berretto.
Il nasino a patatina e la fossetta sopra il labbro.
C’è qualcosa nel mio sorriso che non torna.
E persino gli occhi,anche se ridenti,sembra raccontino altro.
Ero troppo piccola per sapere e ora mi sento troppo vecchia per ricordare.
Non è sempre stata la mia fotografia preferita.
Prima di lei,sulla mensola,c’era quella che mi ritrae sul lettone insieme al babbo.
Lui intento a mettermi un paio di scarpine da bebè rosso masai.
Poi,qualche tempo fa,ero intenta a sistemare alcune vecchie fotografie e il mio sguardo si è soffermato su una in particolare.
C’era qualcosa in quell’immagine che mi attirava.
Era sempre stata lì eppure non l’avevo mai trovata così interessante come quel giorno.
Ne ero rimasta talmente affascinata da chiamare mia madre e dirglielo. Le avevo chiesto cosa sapeva di quella fotografia perché a me piaceva tanto.
Si ricordava quando era stata scattata?
Mi aveva portato al mare,in inverno?
Era domenica come mi immaginavo?
Quante domande…
Come se potesse ricordarsi di ogni singolo istante immortalato su pellicola nella mia infanzia.
Eppure…di quella fotografia sapeva la storia ed era anche in vena di raccontarmela…

Tanto tempo fa,poco tempo dopo aver immortalato mio padre mentre mi aiutava ad indossare le scarpette rosse,la sua preziosissima macchina fotografica venne riposta in disparte.
Lui se ne era andato a causa di una malattia e mia madre aveva altro a cui pensare che a fare fotografie.

Casualmente,una coppia di amici in procinto di una vacanza,si ritrovarono con la macchina fotografica rotta e mia madre fu ben lieta di prestargli quella di mio padre per immortalare le dune di sabbia dell’Egitto.

Al tempo non esistevano le macchine digitali,si usavano ancora i rullini e le camere oscure.
Fu così che al ritorno dalla vacanza,al momento dello sviluppo,si accorsero della fotografia.
In mezzo a cammelli,palme e berberi,c’ero io.
Con la faccetta paffuta e il berrettino celeste.
E quello sguardo.
Sorridente e triste al tempo stesso.
Quando mia madre la vide,rimase di sasso.
Le sembrava passata una vita da quella giornata.
Era domenica e mi avevano portato al mare.
Anche se l’aria era fredda,il cielo era di un azzurro splendente.
Terso e senza una nuvola.
Mio padre aveva con se la sua adorata macchina fotografica e un rullino nuovo di zecca al suo interno.
Guardava dove cadeva la luce e scattava.
Io,imbacuccata nel mio giubbottino rosso e blu correvo avanti e indietro,rincorrendo i gabbiani spaventati dalle mie grida stridule.
Avevo le guance arrossate quando mio padre mi fece fermare per farmi la fotografia.
La bocca dischiusa in un sorriso.
Non potevo saperlo,o forse si.
Mio padre stava già male e la sentenza era già stata data.
Quella fu l’ultima volta che mi portò al mare.
L’ultima fotografia che mi scattò.

Guardo questo visino che mi guarda a sua volta.
Ha uno sguardo che sembra aver capito e c’è una sorta di tristezza in quegli occhi che guardano il suo papà.

La guardo e cerco di cogliere ogni minimo particolare,cerco le sfumature,le ombre…sperando di cogliere la sua.

Penso a lui dietro all’obiettivo.
Mi guarda e sa che non mi vedrà crescere.
Non riesco a pensare a cosa deve avere provato.
Quando il suo dito ha premuto il pulsante,ha immortalato un attimo che avrebbe voluto durasse per sempre.
Ha socchiuso entrambi gli occhi e in un attimo mi ha immaginata già grande,adulta.
Mi ha immaginato guardare quella fotografia e pensare a lui. 
Ha coperto l’obiettivo e riposto la macchina fotografica.
Mi ha preso in braccio ed ha pianto.
Come me ora,mentre guardo quella fotografia.




















BREAIDED BREAD…ispirata da un vecchio ritaglio di giornale



ingredienti :



600 gr di farina manitoba
400 gr di latte parzialmente scremato
100 gr di gherigli di noce
10 gr di lievito di birra fresco
10 gr di sale di Cervia,medio fine
1 cucchiaino di miele millefiori
1 tuorlo
1 cucchiaio di panna fresca
olio evo

Stemperate il lievito in 50 gr di latte e impastate con 100 grammi di farina. Formate una palla,coprite con un canovaccio inumidito e riponete in un luogo tiepido e al riparo da correnti.
Dopo 30 minuti circa,formate una fontana con la farina rimasta e ponete al centro il vostro lievitino,il sale e il miele.
Unite poco alla volta il latte,impastando energicamente.
Aggiungete 3/4 dei gherigli di noce,che avrete sgusciato e spezzettato a mano in precedenza.
Impastate per qualche minuto fino ad ottenere una consistenza soda. Riponete in una ciotola leggermente oliata,ricoprite con il canovaccio e riponete a lievitare per almeno 5 ore.
Ora,spolverate una spianatoia con della farina e sgonfiate leggermente l’impasto.
Dividetelo in tre parti uguali e assottigliatelo fino a formare tre lunghi filoni delle stesse dimensioni.
Formate una treccia e pizzicate le estremità per sigillare bene.
Adagiate su una teglia foderata con carta forno leggermente infarinata e ricoprite con il canovaccio.
Lasciate lievitare per 1 ora.
In una ciotola stemperate il tuorlo con un pizzico di sale e il cucchiaio di panna.
Con l’aiuto di un pennello in silicone,spennellate la vostra treccia e decorate con le noci rimaste.
Cuocete in forno già caldo a 180° per 50 minuti.
Lasciate raffreddare su una griglia e servite con del buon burro,salumi e formaggi a crosta fiorita.





Comfort Food, PRIMI PIATTI, Zuppe

LA ZIA LILLY SUONA SEMPRE DUE VOLTE

11 Dicembre 2014

Di solito era di sabato.

Appena finito di mangiare,quando noi donne eravamo ancora dietro a fare i piatti…arrivava lei.
Dlin Dlon.
Dliiiin Dloooon.
Non potevi sbagliare,era la “sua” scampanellata.
La riconoscevi proprio dal modo di suonare il campanello di casa.
Inconfondibile.
Ricordo che a volte la nonna sbuffava,andava ad aprire la porta e la zia con tutta la sua gioviale irruenza entrava in casa.
Sono sempre state molto diverse la zia Liliana e la nonna.
Non erano sorelle bensì cugine ma per noi lei è sempre stata la zia Lilly.
Mia nonna è sempre stata molto introversa e seria,dice di ricordare una volta sola in cui ha veramente riso di gusto.
La zia Lilly invece era…la zia Lilly.
Sempre sorridente,gli occhi azzurri che brillavano ogni volta che raccontava una barzelletta un pò sconcia.
Raccontava sempre di quando era ragazza,faceva la camiciaia al Grand Hotel e ne aveva viste di tutti i colori.
Spesso e volentieri le mie giovani orecchie hanno ascoltato aneddoti non proprio adatti per la mia età…
Ma la zia era così,un pò osé direbbe mia nonna.
Quando ero poco più che una bambina aspettavo trepidante il sabato dopo pranzo e le due scampanellate di rito.
Noi donne in cucina,la mamma preparava il caffè e la nonna toglieva dalla dispensa i biscotti buoni.
La zia nel frattempo non aveva smesso un attimo di parlare e solo il sibilo insistente della caffettiera poneva fine per qualche secondo al suo ciarlare.
Ci aspettava un pomeriggio al calduccio in casa.
Allora ci si spostava in sala,sempre con la zia in sottofondo che parlava di qualunque cosa.
Del tempo,delle calze di nylon,del figlio,dei mandarini acerbi,della posizione del missionario…il tutto nella stessa frase e senza mai fare una pausa.
A volte incontravo lo sguardo di mia nonna e lei alzava gli occhi al cielo e allora la rimbrottava un attimo e gli diceva di prendere fiato e bere il caffè in pace.
A me toccava una tazzina di acqua zuccherata sporcata con un cucchiaino di caffè e i biscotti.
Niente caffè vero per una bambina,figuriamoci un digestivo.
Finito di bere il caffè,la nonna apriva il mobiletto bar e chiedeva alla zia :
“Cosa ti servo cara Lilly?
Un vermouthino?
Un grappino?
E si facevano un goccetto di sabato pomeriggio.
Per digerire,dicevano.
In verità,ho sempre pensato che lo facessero per “digerirsi” meglio.
Per quel che mi riguarda,ho un bellissimo ricordo di quei sabato pomeriggio.
A volte la nonna e la mamma si mettevano a cucire qualche vestito e la zia supervisionava.
Altre volte la zia aiutava la nonna a smacchiare qualche tovaglia,era un portento. Non c’era macchia che le resistesse.
C’erano anche le volte in cui la zia appena arrivava,apriva la borsa e tirava fuori furtivamente quei libriccini rosa che a me erano vietati.
“Sei troppo piccola” mi diceva mia madre e ricordo mia zia che rideva e partiva con qualche sfrombolone dei suoi.
Era imbattibile.
Sapeva tante di quelle cose…
Alcune mi fanno rizzare ancora i capelli se ci penso.
Io devo a lei una buona parte di quello che so sulla vita.
Era di una sincerità disarmante.
E non aveva peli sulla lingua.
Spandeva il suo sapere e i suoi consigli con tanta energia.
Era generosa e aveva un sense of humor tutto suo.
A volte forse era troppo esuberante eppure era il suo bello.
Forse se dovessi scegliere un unico aggettivo che la descriva,direi irriverente.
Non volermene zia,non lo dico in senso di spregio.
Ma anzi,in senso di stima.
Ci vorrebbero più persone così,come eri tu.
Tu prendevi la vita,con il bello e il brutto che ti offriva,e ci andavi a braccetto.
E io ho sempre ammirato la leggiadria con cui hai vissuto.
Anche negli ultimi anni,quando ormai la memoria non era più quella di una volta e a stento ti ricordavi la strada per tornare a casa. Gli aneddoti erano diventati sempre gli stessi,quei pochi che ricordavi ancora e che non ti stancavi mai di raccontare. Però non eri più tu.
Non so bene quando l’ho capito,ad un certo punto i discorsi non filavano più e i tuoi occhi azzurri non erano più brillanti.
Eppure ridevi quando ti facevo notare che in un pomeriggio mi avevi ri-salutato dieci volte o che erano giorni che rileggevi lo stesso libro.
Non invecchiare mai,mi dicevi.
Ricordo come ieri quando la nonna mi ha telefonato quel giorno e mi ha detto che non c’eri più.
E’ stato un tuffo al cuore,all’improvviso tutti i sabati pomeriggio che avevamo passato insieme scivolavano via.
Tutti i suoi racconti,le sue avventure,le barzellette osé se ne andavano via con lei.
Nessuno ha mai saputo raccontarli così bene.
Con quel pizzico di malizia che la contraddistingueva.
Gli occhi azzurri che brillavano e il naso che le si arricciava.
Accavallava le lunghe gambe,sfoderava il suo sorriso migliore e cominciava a raccontare…
 
 
 
 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 

 

VELLUTATA DI ZUCCA E PATATE VIOLA

 

ingredienti : per 4 persone

600 gr di zucca al netto
3 patate viola di media grandezza
1 cipolla 
1 costa di sedano
1 carota
700 ml di brodo vegetale
100 ml di panna da cucina
100 gr di gorgonzola
timo fresco
olio evo
sale 
pepe
 
 
Lavate e mondate le verdure.
Tritate finemente gli aromi e la cipolla e in cubotti più consistenti le patate e  la zucca.
In una capiente casseruola fate scaldare 4 cucchiai di olio e mettete a soffriggere gli odori.
Quando la cipolla sarà dorata aggiungete le altre verdure,qualche fogliolina di timo e salate.
Coprite con un coperchio e fate cuocere per 8/10 minuti.
A questo punto unite il brodo e riportate a bollore.
Abbassate la fiamma e lasciate cuocere coperto fino a che le patate e la zucca diventeranno tenere.
Calcolate 15 minuti e poi provate con i rebbi di una forchetta ad infilzare un pezzetto di patata.
Se è tenera spegnete la fiamma altrimenti procedete per qualche minuto ancora.
Una volta pronto,prendete un frullatore ad immersione e riducete in purea le vostre verdure.
Aggiungete la panna e frullate fino ad amalgamarla perfettamente.
Tagliate il gorgonzola a cubetti e tuffateli nella vellutata.
Decorate con un rametto di timo fresco,irrorate con un filo di olio a crudo e spolverizzate con il pepe.
Servite caldo e buon appetito.
 
 
 

 

 
PRIMI PIATTI, Senza categoria

PETRONILLA DOCET

27 Novembre 2014
Qualche settimana fa sono passata in biblioteca.
Mi piace girare tra gli scaffali,senza bene in mente cosa cercare. Riempirmi il naso con l’odore della carta,passare le dita sui tomi ingialliti e consunti dal tempo.
Quando vado in biblioteca o in archivio storico,a meno che non stia cercando un volume in particolare,vado un pò a sentimento.
Mi lascio conquistare dai titoli,dalle rilegature.
Dai segni a matita all’interno,anche se impercettibili.
E questa volta sono stata attirata da un libro nella sezione cucina.
Ho scelto quel libro,o meglio è quel libro che ha scelto me.
Non è solo un libro di ricette e menù.
E’ molto di più.
E’ un libro che non conoscevo e che mi ha letteralmente folgorata.
E’ il memoriale di Amalia Moretti Foggia.
Conosciuta anche come Dott. Amal o Petronilla.
La prima medichessa italiana.
Una donna forte e coraggiosa e molto moderna per i suoi tempi.
Dal 1872 al 1947 ha fatto gesta che per una donna dell’epoca erano impensabili.
A fine ottocento studiò a Padova,Bologna e Firenze,laureandosi con il massimo dei voti e mantenendosi con borse di studio.
Perfino la regina Margherita volle conoscerla personalmente e congratularsi con lei per la laurea.
Quando in Italia i medici pediatri erano solo 3 in tutta la penisola,lei era una di questi.
Salvò tantissime vite come medico e combatté strenuamente per far valere i diritti delle donne.
Per anni,scrisse anche una rubrica medica sotto lo pseudonimo di Dottor Amal,in quanto all’epoca era impensabile farsi curare e anche solo consigliare da una donna,anche se laureata e medico.
Fu anche una bravissima scrittrice di libri di cucina,si innamorò della capacità del cibo di unire,dissolvere le nubi,placare gli animi e sancire accordi (cit)e conquistò gli italiani con una rubrica sulla Domenica del Corriere con lo pseudonimo di Petronilla.
Petronilla entrò prepotentemente nelle case delle massaie italiane,che aspettavano il lunedì per consultare la rubrica con le sue famosissime ricette.
Viaggiò in Oriente quando non era così facile e all’ordine del giorno viaggiare verso mete così desuete.
Attraversò o sarebbe meglio dire,subì due guerre mondiali.
Mise in pericolo la sua vita dando rifugio ad amici ebrei.
Eppure visse una vita meravigliosamente piena.
Il suo principio più importante? 
Essere padrona della sua vita.
Una frase più di tutte mi ha colpito in questo libro :

Ora che rileggo i miei scritti e con questa scusa rileggo un pò la mia vita,credo che tutta sia stata pervasa da questi tre principi: sentire,comprendere e amare. Questi ho applicato nell’esercizio della medicina,a essi mi sono ispirata nella vita matrimoniale e infine nel quotidiano. Sentire le emozioni,i sentimenti,le percezioni dei sensi,comprendere gli altri e me stessa attraverso di loro e senza giudicare,e infine condire tutto con amore. Il segreto della mia vita serena.
E vi assicuro,che se leggerete questo libro vi accorgerete che la sua vita è stata ben oltre che serena.

In un tempo in cui la società non vedeva di buon occhio una donna medico,Amalia lo sapeva benissimo ma proseguì per la sua strada.
Andò avanti per quello che aveva deciso sarebbe stato il suo futuro,costi quel che costi.
Sapeva bene di essere una donna troppo moderna per i suoi tempi.
Per questo motivo ha voluto lasciare a noi la sua testimonianza,perchè altre donne come lei non si sentano sperdute e deboli,e perché sappiano che ce la possono fare.(cit)
Amalia,tra le pagine del suo libro,si chiede come sarà la situazione della donna tra cent’anni,è molto curiosa e più volte nel suo libro,si pone questa domanda.
Solo l’anno prima la donna aveva ottenuto la possibilità di votare e per lei era stato un grandissimo traguardo.
Lei e altri nomi tra le grandi figure femminili dell’epoca si sono battute affinché la situazione per noi donne migliorasse.
E Amalia con curiosità guarda al domani,sperando di essere stata un insegnamento con il suo modo di vivere e un incitamento per le donne che verranno.
Di anni non ne sono passati cento,per ora nemmeno settanta.
E le cose,cara Amalia non sono cambiate poi così tanto.
Non credete siano molto attuali le sue parole quando scrive :
Cosa dire di tanti padroni che non ti assumono se non firmi una carta che ti impegna a licenziarti se rimani incinta??
Non vi sembra di averle già sentite e non certo settant’anni fa?
Abbiamo finalmente ottenuto la tanto sospirata uguaglianza?
Se proprio ier l’altro si commemorava il giorno della non violenza sulle donne? Come se ci fosse bisogno di una data per ricordarsi che le donne non vanno picchiate,umiliate e tantomeno uccise?
Sempre Amalia,quasi un secolo fa scriveva che alcuni uomini non vogliono essere lasciati,e se patiscono la separazione ti puniscono e arrivano ad uccidere.
Non vi sembra uno spaccato di realtà che conoscete bene?
Nonostante siano passati così tanti anni,nonostante ora le donne siano entrate in politica,in editoria,in medicina e via dicendo,pagano ancora uno scotto come se fossero un essere inferiore.
Però,sempre come diceva la cara Amalia,le donne TUTTE han forza d’animo,anche quelle che per paura non vogliono sapere di possederla.
E in questi giorni una di queste donne l’ha dimostrato.
Come possiamo non essere fiere della prima astronauta italiana che varca i confini dello spazio?
Ecco,cara Amalia,forse qualcosa di buono alla fine è stato ottenuto. 
Credo che ti sarebbe piaciuta Samanta,saresti stata fiera di lei.
E saresti anche stata fiera di tutte le donne di oggi,che nel loro piccolo o nel loro grande,s’impegnano a portare alto il loro nome.
Medichesse,scrittrici,massaie,sarte o astronaute.
Non importa,fiere di essere donne.

Le voci di Petronilla,Roberta Schira e Alessandra De Vizzi



















QUADRETTINI IN BRODO


ingredienti : per 2 persone


200 gr di farina 
2 uova fresche
brodo di carne
noce moscata

Preparate la vostra pasta rompendo le uova su una spianatoia dove avrete posizionato a fontana la farina..
Iniziate a impastare raccogliendo la farina e aiutandovi con un cucchiaio di acqua per renderla più elastica.
Continuate ad lavorare fino ad ottenere una consistenza soda e omogenea. Formate una palla e coprite con un canovaccio pulito.
Lasciate riposare per una trentina di minuti dopodiché iniziate a tirare la vostra sfoglia con un mattarello.
Assottigliatela il più possibile,finché non intravedete le vostre dita al di sotto della pasta.
A questo punto infarinate per bene e con l’aiuto di un coltello affilato ricavate tanti quadrettini.
Smuovete bene la pasta e lasciate che secchi un poco.
Portate a bollore del buon brodo di carne e scuotete i vostri quadretti dalla farina in eccesso prima di versarli nel brodo.
Necessitano di poca cottura,quando verranno a galla spegnete la fiamma e lasciate riposare qualche secondo.
Raccogliete con l’aiuto di una ramina i vostri quadretti e versate nei piatti. Aggiungete brodo caldo e spolverate con una grattata di noce moscata.
Gustate caldo,possibilmente soffiando sul cucchiaio.






i Dolci, Senza categoria

LE RAGAZZE CRIX CROX

20 Novembre 2014
Le ragazze crix crox erano poco più che bimbette,biondi capelli e gambe storte. 
Spesso le potevi trovare con il nasino appoggiato alla finestra,a scrutare il mondo con gli occhioni sognanti che solo i bambini sanno avere.
Sognavano il loro futuro,lo elaboravano nella loro testolina non sapendo che la vita gli avrebbe riservato tutt’altro.
Le ragazze crix crox giocavano insieme,facevano il pigiama party e guardavano i cartoni animati.
I puffi,Candy Candy,Georgy,Jem e le Hologram…molto anni 80.
Quando la televisione si accendeva alle 16.00 dopo aver fatto i compiti e che quando i cartoni finivano,si spegneva.
Era allora che le ragazze crix crox andavano fuori e giocavano con le biciclette e la palla.
Alle volte,scendevano verso il fiume e giocavano con i ciottoli levigati dall’acqua e dal tempo.
Il tempo…proprio con il passare del tempo le ragazze crix crox sono diventate adolescenti,complici nei primi amori e nelle prime scappatelle da casa.
Telefonate interminabili nel cuore della notte,quando tutti dormivano e loro potevano parlare liberamente.
Sempre sottovoce,anche se poi quando gli veniva la sgrigna non riuscivano a trattenersi e scoppiavano a ridere nel bel mezzo del silenzio più totale.
E poi… poi sono diventate grandi e hanno assaggiato sulla propria pelle quanto sa essere dura la vita.
Quella vita che per un periodo le ha anche allontanate.
E poi,per caso,le ha fatte rincontrare.
Ma voi ci credete al caso?
Oppure era prestabilito,scritto da qualche parte che le ragazze crix crox si sarebbero riunite?
Insomma,è stata una coincidenza a farle ritrovare quella tarda mattinata invernale in un parcheggio?
Quel giorno…le parole fluivano senza controllo cercando di colmare il silenzio di anni.
Troppo tempo da poter coprire con un paio di chiacchiere.
Avevano il cuore colmo di felicità nel ritrovarsi donne.
Si erano lasciate da ragazze,quando pensavano di aver capito tutto e di avere il mondo in mano.
E ora,le stesse ragazze crix crox chiacchieravano fitto fitto,raccontandosi aneddoti e anni perduti per sempre come se si fossero salutate appena il giorno prima.
Come se non fosse passato più di un decennio.
Come se nel mezzo,in quel vuoto di 15 anni,non avessero mai smesso di essere loro,le ragazze crix crox.
Anche se un pò cresciute,acciaccate e con qualche ruga in più.
Ma sempre con gli occhi grandi e sognatori che solo i bambini,anche quelli un pò cresciuti,sanno avere.






















MINI CAKE con sorpresa

un’idea tratta dal libro Small-Batch Baking


ingredienti : per 6 tortine

150 gr di zucchero semolato
120 gr di farina 00
60 gr di burro
2 uova + 2 tuorli
1 cucchiaino di estratto di vaniglia
1/2 cucchiaino di lievito per dolci
1 pizzico di sale


ingredienti per il frosting :

300 gr di zucchero a velo
2 albumi
1/4 di cucchiaino di cremor tartaro


ingredienti per la glassa :

200 gr di cioccolato fondente al 70%
2 cucchiai di olio di semi di girasole
granella di nocciole per la decorazione

Iniziate con il preparare le tortine.
In un pentolino fate sciogliere il burro e mettete da parte.
Montate le uova con lo zucchero finchè non diventeranno spumose e assumeranno la consistenza di una crema.
Potete usare anche un robot da cucina per la preparazione.
Setacciate la farina e il lievito per due volte,aggiungete un pizzico di sale e unite poco alla volta alle uova.
Mescolate fino a fare assorbire completamente la farina.
Ora unite un paio di cucchiai del composto al burro fuso,amalgamate bene per far incorporare il burro fuso al composto. Aggiungete al composto con la farina,mescolate bene e preparate i vostri stampini.
Il bello di questa ricetta è l’utilizzo dei barattoli di latta come stampi per le mini cake.
Riciclate 5/6 barattoli di alluminio,quelli delle verdure o dei pelati per capirci.
Con un apriscatole togliete sia il coperchio che il fondo,lavateli bene e asciugateli.
Ora coprite il fondo di ogni vasetto con della carta stagnola e poi imburrateli e infarinateli.
Riempite con la pastella per circa la metà e infornate in forno già caldo a 190° per 20 minuti.
Controllate con uno stecchino la cottura e mettete a raffreddare su una griglia con tutto il barattolo.
Raffreddandosi si staccheranno da soli.
Nel frattempo montate gli albumi con lo zucchero a velo e il cremor tartaro. Dovete fare una ghiaccia reale e gli albumi dovranno essere “fermissimi”.
Trasferite la glassa in una sac a pochè e quando le tortine saranno completamente fredde (mi raccomando,abbiate pazienza!) toglietele dai vasetti e decoratene la cima con una spirale di glassa.
Fate indurire e assestare la glassa,se volete accelerare un pò i tempi potete mettete in frigorifero le vostre tortine.
Spezzettate il cioccolato e fatelo sciogliere insieme all’olio in un pentolino che avrete posizionato a bagnomaria.
Una volta che avrete sciolto tutta la cioccolata e avrete ottenuto una consistenza liscia mettete in un bicchiere o contenitore profondo e stretto (ma che nel diametro lasci passare le tortine). Lasciate raffreddare per una decina di minuti.
Ora,tenendo le mini cake dal fondo immergetele nella cioccolata fusa fino a coprire interamente il frosting bianco.
Fate scolare bene dalla glassa in eccesso e posizionate su un vassoio. Spolverate con granella di nocciole e fate freddare completamente la copertura di cioccolata prima di addentarle.





Conserve e Sott'olio, Senza categoria

CHI NON LI HA?

4 Novembre 2014

Il cinguettio degli uccellini mi sveglia.
Mi rigiro ancora un pò nel letto.
Ha iniziato a fare freddo per davvero,tutto in una volta.
Come c’era da aspettarsi.
Mi crogiolo ancora un pò nel tepore delle coperte…
Pum…pum…pum…
Sdanghete…pum…sdanghete…
Non credo che gli uccellini che fino ad un minuto fa cantavano,ora si siano dati ai lavori pesanti.
Mi copro la testa con il cuscino.
Voglio dormire ancora un pò…
Bam…bam…bam…baaaaaaam.
Ok,sono sveglia.
E pure parecchio irritata.
Apro la finestra e con gli occhi ancora gonfi dal sonno,scendo a prepararmi un caffè.
D’orzo,che quello normale non lo tollero.
Al piano di sotto la situazione non migliora.
Colpi assordanti che nemmeno fossimo sotto un bombardamento.
Prendo in mano un biscotto e ne sgranocchio metà guardando fuori dalla finestra.
Chissà cosa staranno facendo oggi…
Oggi potrebbero decidere,non so,di cambiare tutti gli infissi.
Il tutto facendo più rumore possibile.
Qua sembra di essere a Itaca,e la casa dei miei vicini assomiglia spaventosamente alla tela di Penelope.
Fatto sta che da due anni a questa parte,ogni mattino la mia sveglia è : colpi di martello,tanti e ripetuti.
Possibilmente all’alba e per non più di dieci minuti,giusto il tempo per svegliarti.
Martello pneumatico utilizzato anche per tagliarsi le unghie dei piedi,perché altrimenti non si spiega il suo utilizzo quando la casa è ormai bell’e pronta.
Motosega impazzita…ah no,questa la usano gli altri vicini per tagliare la legna anche ad agosto.
Possibilmente di domenica,orario preferito?
Non più tardi delle 6.00 del mattino.
Flessibile,mazzuola e ogni altro oggetto produca un continuo e fastidioso rumore al di là delle pareti.
Manca solo che inizino a sparare i petardi.
Cellulari che suonano impazziti con volume della serie “90 anni e non sentirlo”,chiaramente con suonerie improbabili.
Spesso e volentieri la suoneria è la cavalleria.
E perché no? Perché non svegliarsi anche a suon di bestemmie che colorano il linguaggio di questi muratori,ogni due per tre?
Vi assicuro che ha il suo fascino…
Insomma,se ancora non l’avete capito,i miei vicini ristrutturano.
Una casa grande come una scatola da scarpe.
Da ben due anni.
Inizio a pensare che in tutto questo tempo abbiano costruito un bunker antiatomico la sotto.
Non c’è altra spiegazione.
Probabilmente Michelangelo ci ha messo meno a decorare la Cappella Sistina.
All’inizio ho portato pazienza,tanta pazienza.
Si sa,quando si mette mano alle case,per giunta vecchie,ci sono sempre un sacco di lavori da fare.
Ma dopo un anno di martellamenti incessanti proprio dietro la testiera del mio letto,la pazienza ha iniziato a vacillare.
Qui siamo dinnanzi un vero e proprio rompicapo.
Non sono bastate le buone,le chiacchierate con i muratori e con i proprietari. Non sono bastate nemmeno le cattive,perché vi assicuro che mio marito appena sveglio che ti viene a suonare incavolato nero non lo augurerei a nessuno.
Eppure niente ha sortito alcun effetto.
Nemmeno la mia vicina,che quando si arrabbia fa più paura di un bazooka puntato contro.
Da più di un anno ripetono sempre la stessa cosa.
Continuano a dire che hanno quasi finito,manca una settimana.
E intanto continuano con le martellate.
Sorseggio il mio caffè e sospiro.
Vicini rumorosamente molesti…
Chi non li ha?
Sorrido.
Credo che presto,molto presto ricomincerò a suonare la batteria.


















da un vecchio ritaglio di giornale :

CONSERVA ALLA ZUCCA 


ingredienti : per 3 vasetti medi


800 gr di zucca pulita
260 gr zucchero semolato
500 ml di aceto bianco 
250 ml di acqua
5 rametti di timo 
1 cucchiaino di pepe nero in grani
3 stecche piccole di cannella
20 gr di zenzero grattato
zest di limone

Mondate e pulite la zucca e tagliatela in cubotti.
In una pentola capiente unite lo zucchero,lo zenzero grattato,il pepe nero e le stecche di cannella.
Aggiungete l’aceto e l’acqua e portate ad ebollizione.
Unite la zucca al vostro composto,mescolate bene e coprite.
Fate cuocere per 10 minuti,giusto il tempo che la zucca cuocia.
Prendete i vostri vasetti precedentemente sterilizzati e riempiteli con la vostra conserva ancora calda.
Coprite con il succo di aceto zuccherato.
Tappate bene i vasetti e posizionateli a testa in giù fino a completo raffreddamento.